di Sonia Sbolzani
La incontro, sempre per coincidenza, all’ascensore di un palazzo in via Montenapoleone: esile ed elegante nel portamento, castano-rossi i capelli, età indefinibile, un sorriso dolce e coinvolgente, occhi grandi indagatori ed elusivi allo stesso tempo. E l’immancabile Yorkshire Sciusciù al guinzaglio.
Così ho saputo che Anna Demina – questo il suo nome – è di origine russa, vive a Milano – dove ha anche una figlia ormai grande – e si interessa di arte, che la porta spesso in giro per il mondo. Fu lei stessa un giorno a dirmi della sua passione per l’arte africana, che ne ha fatto un’infaticabile scopritrice di nuove forme espressive.
Tutto iniziò in un negozio di antiquariato di Marrakech, dove entrò per caso e lì, in Africa, si innamorò della statuetta giapponese di una geisha che spazzolava il cranio di uno scheletro! La comprò subito e nacque così una raffinata collezionista di arte esotica, che poi si concentrò specificamente su quella africana. Nel corso degli anni la Demina è venuta a contatto con molti pittori e scultori e mercanti, la sua collezione è andata sempre più ampliandosi e lei stessa è diventata un’artista, abile realizzatrice di schizzi ispirati alla cultura africana e del Sol Levante. Intriganti sono soprattutto i suoi disegni delle varie e complesse capigliature delle donne africane, spesso legate a riti e superstizioni ataviche.
Dell’arte simbolista del Continente Nero la affascina in particolare la spiritualità profonda e pervasiva che connette creato e umanità per preservare l’armonia di tutte le cose.
Di quelle opere la colpisce la mancanza di prospettiva e profondità, l’abolizione dello spazio che suggerisce l’esistenza di una dimensione mentale piuttosto che visiva. La semplicità delle forme, la loro capacità di sintesi e immediatezza le parlano con una carica emotiva potente sconosciuta al linguaggio tradizionale della nostra arte che è mimesi più che creazione delle forme, come invece avviene in Africa.
Nell’arte nera – espressione di un diverso rapporto tra uomo e natura – i volumi sono essenziali, modellati secondo geometrie “cubiste”, le proporzioni sono astratte e aliene ad ogni proporzione reale, i segni appaiono codificati. Le figure femminili con le loro silhouette accentuate suggeriscono armonia e fertilità, mentre quelle maschili o zoomorfe manifestano virilità e forza.
L’arte africana è soprattutto metaforica e procede per simboli; raramente un oggetto viene creato solo per una funzione stilistica, ovvero per essere guardato: la sua bellezza è proporzionale al ruolo che svolge nella vita dell’uomo e al legame con il potere e la religione.
Le opere africane sono sovente anonime; al limite conosciamo l’etnia degli autori, ma nulla più. Ne scaturisce una varietà di linguaggi tribali che è arduo sintetizzare…
La scultura è senza dubbio la forma d’arte figurativa più diffusa nei territori sub-sahariani. Le opere sono generalmente in legno, lavorate senza disegni preparatori, né abbozzi. Oggetto delle raffigurazioni è spesso la figura umana, che può rappresentare un antenato o un nume tutelare, quasi sempre isolata.
Anna Demina ha già contribuito a diverse mostre in Italia e nel mondo, l’ultima delle quali – in corso all’Hermitage di San Pietroburgo sino al 12 dicembre 2021 – si intitola “Transfigurations. African Masks of the 19th – 20th Centuries”, realizzata sulla base della collezioni dello stesso Hermitage e del Museo di Antropologia ed Etnografia Pietro il Grande. Questa straordinaria esposizione, a cui lei partecipa come collezionista privata, è dedicata alle maschere africane e ne indaga gli aspetti di modernità che ci derivano dalle civiltà passate: le statue e le maschere, in ultima analisi, sono i veicoli attraverso i quali gli spiriti e le forze celesti si rendono presenti e visibili nello spazio umano. Fortemente stilizzate ed espressive, sono frutto di secoli di tradizione artistica e, se a prima vista possono apparire grottesche, diventano molto importanti e sofisticate se collocate nel loro contesto culturale, poichè incarnano la divinità che simboleggiano (tanto è vero che in molte società africane vengono indossate solo dagli iniziati). Altre volte le maschere vengono impiegate in manifestazioni collettive, come riti agrari e funerari (per accompagnare il defunto ed offrirgli un passaggio sicuro e sereno verso l’aldilà).
Ammirando questi oggetti senza tempo, si percepisce la cura condita di passione con cui Anna li ha scelti, benedendoli con il suo delicato sorriso…
“La farfalla non conta gli anni, ma gli istanti: per questo il suo tempo le basta” (proverbio africano).
Sonia Sbolzani
IMORE MAGAZINE